Posted by Unknown on domenica, marzo 30, 2014 | No comments
I
sogni segreti di Walter Mitty
Ho
deciso di non informarmi su questo film. Ho deciso di non leggere
niente, non guardare interviste e non fare ricerche sugli altri
lavori del cast.
“To
see the world, things dangerous to come to, to see behind walls, to
draw closer, to find each other and to feel, that is the purpose of
life.”, il messaggio è piuttosto chiaro e la mia intenzione è di
concentrarmi su questo. La riaffermazione di un individuo e della sua
voglia di succhiare il più possibile dalla vita, di superare la
routine in cui si è intrappolato e riuscire a vivere le sue
fantasie, i suoi “day-dreams”. Una spinta non a sognare ma a
vivere quei sogni. Il modo in cui questo messaggio viene fatto
passare attraverso lo schermo è molto misterioso. Per certi versi è
collocabile nel filone neo-esistenzialista nato in questo millennio,
in cui colloco Lost In Translation, Garden State e Jack Goes Boating;
non per fornire capostipiti ma solo esempi estetici e tematici. Il
mistero sta nel quasi assente sviluppo dei personaggi, che nega ogni
possibilità di esistenzialismo che invece dovrebbe essere il tema
dominante del film. Questa è solo uno degli effetti di una
sceneggiatura assolutamente inadeguata, che produce un film lento,
inconcludente e con enormi lacune. Anche il viaggio, che dovrebbe
essere la spinta della storia, non entusiasma, non lascia niente.
Dispiace notare come lo sceneggiatore, Steve Conrad, sia lo stesso di
La Ricerca Della Felicità (ok, ho sbirciato). Ben Stiller non poteva
fare molto con il materiale ricevuto, se non forse riscriverlo
completamente, e in fin dei conti la regia non delude. Il vero
maestro, però, è Stuart Dryburgh alla fotografia. Le sequenze
lasciano a bocca aperta e fa davvero piacere che un film che parla
anche di fotografia abbia avuto questa realizzazione estetica. Non
voglio parlare di altro perché tutto è stato trascinato in basso da
una sceneggiatura indegna e sarebbe ingiusto parlare di bravi attori
trattati male dal proprio personaggio.
Ne
consiglierei la visione a fotografi, impiegati, fan di David Bowie e
chiunque voglia un “filmetto leggero”. Ai fotografi consiglierei
anche di non soffermarsi troppo sul fatto che Sean Penn usi un
obiettivo assolutamente inadatto e lasciarsi un po' trasportare dal
piacevole Sean O'Connell.
Verdetto?
Da vedere. Soprattutto vedere.
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